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Wabi-sabi

Il significato di Wabi-Sabi: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto...

Casa del the giapponese


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Wabi-sabi

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Una casa del tè giapponese che rispecchia l’estetica del wabi-sabi
Wabi-sabi (in Kanji: 侘寂) costituisce una visione del mondo giapponese, o estetica, fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. L’espressione deriva da due caratteri 侘 (wabi) e 寂 (sabi):

Tale visione, talvolta descritta come “bellezza imperfetta, impermanente e incompleta”[1] deriva dalla dottrina buddhista dell’anitya (sanscrito, giapp. 無常 mujō; impermanenza).

Secondo Koren, il wabi-sabi è la più evidente e particolare caratteristica di ciò che consideriamo come tradizionale bellezza giapponese dove “occupa all’incirca lo stesso posto dei valori estetici come accade per gli ideali di bellezza e perfezione dell’Antica Grecia in Occidente”. Andrew Juniper afferma che “se un oggetto o un’espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell’oggetto è wabi-sabi”. Richard R. Powell riassume dicendo “(il wabi-sabi) nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto“.

Le parole wabi e sabi non si traducono facilmente. Wabi si riferiva originariamente alla solitudine della vita nella natura, lontana dalla società; sabi significava “freddo”, “povero” o “appassito”. Verso il 14esimo secolo questi significati iniziarono a mutare, assumendo connotazioni più positive. Wabi identifica oggi la semplicità rustica, la freschezza o il silenzio, e può essere applicata sia a oggetti naturali che artificiali, o anche l’eleganza non ostentata. Può anche riferirsi a stranezze o difetti generatisi nel processo di costruzione, che aggiungono unicità ed eleganza all’oggetto. Sabi è la bellezza o la serenità che accompagna l’avanzare dell’età, quando la vita degli oggetti e la sua impermanenza sono evidenziati dalla patina e dall’usura o da eventuali visibili riparazioni.

Sia wabi che sabi suggeriscono sentimenti di desolazione e solitudine. Nella visione dell’universo secondo il Buddhismo Mahayana, questi possono essere visti come caratteristiche positive, che rappresentano la liberazione dal mondo materiale e la trascendenza verso una vita più semplice. La filosofia mahayana stessa, comunque, avverte che la comprensione genuina non può essere raggiunta attraverso le parole o il linguaggio, per questo l’accettazione del wabi-sabi in termini non verbali può costituire l’approccio più giusto.

I concetti di wabi e sabi sono originariamente religiosi, ma l’uso che si fa attualmente di queste parole in giapponese è spesso abbastanza causale. In ciò si può notare la natura sincretica dei sistemi di credenze giapponesi.

Una traduzione molto semplice di wabi-sabi potrebbe essere bellezza triste.

Altra interpretazione possibile è “bellezza austera e, quasi malinconicamente, chiusa in sé”.

Molte arti giapponesi negli scorsi millenni sono state influenzate dallo Zen e dalla filosofia Mahayana, in particolare la contemplazione dell’imperfezione, il flusso costante e l’impermanenza di tutte le cose. Tali arti possono essere esempio di un’estetica wabi-sabi.

Eccone una lista incompleta:

Honkyoku (musica tradizionale di shakuhachi di monaci Zen vagabondi)
Ikebana (disposizione dei fiori)
giardino giapponese, giardino Zen e bonsai (giardini in vaso)
Poesia giapponese, in particolare gli haiku
Porcellane giapponesi
Cerimonia del tè giapponese

Durante gli anni 90 il concetto è stato preso in prestito da sviluppatori software ed impiegato nella Programmazione agile e nelle Wiki per descrivere l’accettazione dello stato di continua imperfezione, prodotto costante di questi metodi.

Il concetto di wabi sabi è stato recentemente adottato ed analizzato dalla disciplina del disegno industriale, col fine di indagare una possibile valorizzazione dell’imperfezione nei prodotti industriali.